martedì 14 febbraio 2012

I cuori di Ivan Olivieri per Wabi



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                                        "Mangiami il cuore!"

Il motivo del cuore mangiato ha origini molto antiche, rituali e magico-sacrali, e per questo è un dato di grande rilievo antropologico. "Mangiare" il cuore del morto, per riceverne le più alte virtù morali, presuppone un'interpretazione simbolica del gesto, diffusa nella letteratura medievale e derivata da una lunga tradizione folklorica che poneva nel cuore la sede dell'energia vitale e del coraggio.
Parallelamente all'ambito sacrale (in cui il sacerdote offre virtualmente il cuore della vittima agli dei), si sviluppano col tempo riti magici mantenutisi per secoli, tanto da formare la tradizione del rituale del cuore mangiato - in genere quello di un nemico ucciso - usato soprattutto come mezzo per acquistare forza (si beve infatti frequentemente anche il sangue dei morti). Accanto alle funzioni magico-rituali e simboliche, il gesto del cuore mangiato assume - soprattutto nella letteratura cavalleresca e novellistica - un significato sinistro, di odio e di vendetta. In questo caso si tratta del cuore "fatto mangiare": in genere è il marito tradito che fa mangiare alla moglie il cuore dell'amante di lei. La narrativa medievale è ricca di tali situazioni: una delle più note è la vicenda del trovatore Guillem de Cabestaing, rievocata da Boccaccio nel Decameron (IV, 9).
Un'interpretazione particolare del tema è offerta da Dante nella Vita Nuova, dove il gesto del cuore mangiato si configura come gesto d'amore, in un'atmosfera mistico-spirituale. Qui il significato dell'atto è in gran parte capovolto rispetto alla tradizione letteraria perché nel sogno del poeta Beatrice mangia il cuore ardente d'amore di Dante "vivo": quindi l'atto è privato di qualunque componente espiatoria ed è intellettualisticamente arricchito di complessi significati allegorici.
                  "Due cuori e una capanna"




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